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Mi viene spesso in mente una giornata al mare durante la scorsa estate.

Un giorno come tanti, fatto di giochi tra bambini e nuove amicizie sotto l’ombrellone nelle ore più calde. Una bimba cade, la mamma accorre e, nel tentativo di lenire quel dolore, chiede senza sosta cosa possa fare per lei, per farla stare meglio, per interrompere quel pianto.

La bimba non si calma, la mamma “alza la posta”. Inizia a fare promesse e proposte più impegnative, nella speranza di vederla sorridere ma quel dolore non smette, né cessa il pianto, a cui si aggiunge un’espressione confusa di occhi bambini che ora non sanno davvero cosa rispondere, cosa scegliere.

Osservo e mi dico quanto sia difficile, quando siamo dentro quel vortice di emozioni crescenti, di vuoti da colmare, di ansie che rosicchiano le nostre già bucate e poche certezze, comprendere che  non si può chiedere troppo alle nostre parti piccole.

Quelle parti, così come i bambini, sono presi dai giochi, dalle ginocchia sbucciate che bruciano, dalle assenze, dalle troppe presenze, dai sogni senza confini di spazio e di tempo, da paure di abbandono, ansie da separazione,  da un’io grande grande come il primo gelato dell’estate, dopo mesi di attesa.

I bimbi possono scegliere il gusto del gelato, il gioco da portare ai giardini, il compagno di banco, la canzone da mettere a ripetizione.

Non dovrebbero, invece, trovarsi a rispondere a domande cruciali come: “Dimmi cosa devo fare?”  , “Perchè sei così agitato?”, “Cosa pensi di mamma o papà?”, “Cosa è giusto per te?”, “Chi ha ragione?”.

Nè, si capisce, dovrebbero essere messi dentro un gioco a quiz nel quale sono chiamati a scegliere cose grandi (per loro è grande anche la scelta tra le scarpe blu o rosse, talvolta!) nel minor tempo possibile, sentendo che potrebbe succedere l’irreparabile, se sbagliassero.

Non capita niente di drammatico, se questo dovesse accadere, semplicemente un bambino difficilmente riuscirà scegliere ciò di cui non fa esperienza diretta, ciò che è solo una mera ipotesi.

E il genitore che delega al figlio tali scelte, si troverà facilmente su una barca dominata da onde incontrollabili.

Così accade anche quando lasciamo che a scegliere “cose da grandi” siano le parti piccole, più fragili, di noi stessi.

Ognuno, più o meno consapevolmente, custodisce dentro una parte di sé rimasta a giocare tra i giocattoli del passato.

Una parete a cui è mancato qualcosa, ha sperato in qualcosa d’altro, ha sperimentato solitudine, indifferenza, o magari, piccole e grandi umiliazioni.

Quelle parti hanno bisogno di un cerotto, di un abbraccio, di un gelato, di un amico di giochi, di un orecchio più grande in ascolto, di presenze: che non odorino di soffitte o fantasmi, però.

A quelle parti non possiamo chiedere se abbiamo scelto l’amore giusto, se siamo pronti a svolgere quel dato percorso, se il lavoro o lo studio che facciamo è davvero ciò che ci piace.

Non possono risponderci o, se lo fanno, potrebbero dirci poco più tardi che, però, era buono anche il gusto del gelato che non abbiamo preso, quel lavoro che anni fa rifiutammo o quel vecchio amore che allora sembrava invece la fonte di tutti i nostri guai.

Con loro, con i bambini che abbiamo dentro, è bene fare ciò che è mancato, motivo per cui si sono messi lì, vigili e fermi come sentinelle, ad attendere da anni che ciò che non c’era finalmente accadesse.

A loro dobbiamo la tenacia e la speranza che domani sarà ciò che oggi non è; a loro dobbiamo gratitudine e sarà bello non rifiutargli un gioco, un canto a squarciagola, un calcio ad un pallone, una corsa in bici o tutto ciò che, più o meno pazientemente, attendono.

Farà senza dubbio bene anche alle parti grandi di noi correre, saltare, nuotare, ridere, fare e farsi compagnia.

A loro, però, non facciamo scegliere le cose da grandi: finirebbero per confondersi, illudersi, ingannarsi.

Proteggiamo le nostre parti piccole, proteggiamo i nostri bambini e lasciamo alle parti grandi, agli adulti, il compito e la libertà di decidere ciò a cui un piccolo non ha ancora facoltà di dire “sì o no”.

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